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Il lavoro nobilita sempre l’uomo? E se lavorare per vivere diventa vivere per lavorare?

25 Novembre 2011 da Dott.ssa Cristina Colantuono Lascia un commento

Vivere per lavorare carlo verdone

 

In un periodo come questo, in cui il lavoro più diffuso è il “cercare lavoro”, sembra strano parlare di “Dipendenza dal lavoro” eppure questo fenomeno è molto diffuso e compare tra quelle che vengono definite nuove dipendenze o dipendenze sociali.

Già alla fine degli anni ’70, in America, in Giappone e in Germania, si inizia a parlare di questa patologia, chiamata anche “Karoshi” o “Workaholism” (in assonanza con il termine alcoholism usato in America per definire la dipendenza da alcool) per designare un disturbo ossessivo-compulsivo che si manifesta nella forma di una vera e propria dipendenza nei confronti del lavoro e nasconde la necessità di soddisfare un bisogno interno.

Come tutte le altre forme di dipendenza, quella dal lavoro ha come conseguenza la compromissione della salute fisica e della vita psico-sociale ma, al contrario delle altre, non viene condannata perché è legata ad un’attività lecita e molto apprezzata a livello sociale.

La sua particolare caratteristica è che essa si origina a partire da ricompense secondarie, cioè dal piacere indiretto che deriva dal lavorare fino all’eccesso e non da qualcosa che è direttamente disponibile come avviene invece in altre forme di dipendenza.

 

Chi sono le vittime?

Il fenomeno si manifesta principalmente tra i cosiddetti colletti bianchi, ossia manager, uomini di affari e soprattutto donne che rivestono ruoli di dirigenza ma possono esserne colpiti anche i lavoratori dipendenti, le casalinghe e addirittura i bambini che manifestano la loro dipendenza nel bisogno di essere eccellenti a scuola, nello sport e in ogni altro tipo di attività che svolgono.

 

Qual è l’identikit del dipendente da lavoro?

In genere il workaholic passa dal piacere di lavorare, all’abuso per arrivare infine alla dipendenza vera e propria.

Egli inizia a lavorare per un numero di ore eccessivo anche nei fine settimana e nei periodi di vacanza, molte volte lavorando anche di nascosto e per diversi giorni consecutivi. Non ha più tempo per coltivare i hobbies, nè per le relazioni affettive che preferisce interrompere pur di non distrarsi dal lavoro, né per riposare, motivo per cui appare sempre irrequieto e irritabile.

Tutti i pensieri e le preoccupazioni sono rivolti al lavoro e se ci si abbandona ad un sonno fisiologico si può incorrere in incubi su possibili errori o insuccessi sul lavoro.

Tutto questo diventa fonte di stress e di ansia che si ripercuote negativamente sui rapporti interpersonali affettivi e familiari che a loro volta innescano un intenso senso di colpa per aver trascurato i propri spazi e quelli delle persone care.

 

Quali sintomi emergono?

Il workaholic, sperimenta stati di astinenza, con manifestazioni sintomatologiche psicofisiche, tipici delle dipendenze da sostanza che lo portano ad aumentare il lavoro per poter giungere ad uno stato di benessere ricorrendo spesso anche a sostanze come psicofarmaci, droghe o alcol.

Da qui, quindi, lo sviluppo di sintomatologie quali sbalzi d’umore, ossessioni, compulsioni, fobie, depressione, disturbi del sonno, ipercontrollo, isolamento, disturbi alimentari e a livello fisiologico possono comparire disturbi all’apparato gastrointestinale, cefalea, disturbi cardiocircolatori, problemi dermatologici, dolori muscolari.

Spesso vengono sottovalutati i segnali di disagio che così peggiorano fino a provocare l’infarto o l’instaurarsi di problemi di salute cronici.

 

Perchè si diventa dipendenti dal lavoro?

Il Workaholism rivela una bassa autostima e un profondo vuoto interiore che portano la persona a lavorare in modo ossessivo per essere accettata, approvata e riconosciuta a livello sociale dando prove tangibili del proprio operato e quindi del proprio valore personale.

Cosicchè il rispetto da parte degli altri e la propria autostima dipendono solamente dal lavoro.

Le cause psicologiche di questo comportamento derivano spesso dalle aspettative esagerate che i genitori avevano nei suoi confronti quando era bambino: genitori che manifestavano amore e approvazione solo in seguito ai suoi successi.

Meccanismo patologico che si ripercuote nella vita adulta quando si crede di valere qualcosa solo se si riesce ad eccellere nel lavoro e quindi inconsciamente si continuano a ricercare successi.

Altre cause possono essere l’evitamento di un problema, l’iperambizione, l’inadeguatezza, la solitudine e il desiderio di affiliazione per vivere interazioni sociali ma anche il desiderio di supremazia, autoaffermazione e perfezionismo, di controllo e iperattività.

Oggi, la sindrome da Workaholism è ancora un fenomeno sottovalutato e poco riconosciuto come disagio psicologico che va trattato seriamente.

Molte ricerche dimostrano come tale forma di dipendenza stia diventando, sempre più, un problema sia sociale che sanitario.

Inoltre, alla diffusione del fenomeno contribuisce anche l’innovazione tecnologica che ha permesso l’abbattimento dei confini tra area professionale e area personale permettendo di mischiarne gli spazi e i tempi attraverso l’uso di telefoni cellulari o computer che consentono al lavorodipendente di “portarsi il lavoro a casa” soddisfacendo così il proprio impulso a lavorare in ogni luogo e in ogni momento.

Per chi volesse approfondire si consigliano i film: “Workaholic“ (di Von Wietersheim) del 1996 e “No reservation – Sapori e dissapori” (di Hicks) del 2007.

Oppure il testo “Confessions of workaholics: the facts about work addiction” di Wayne Edward Oates.

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