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Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività: un problema psicologico e sociale

5 Luglio 2013 da Dott.ssa Cristina Colantuono Lascia un commento

brucialanotizia.it

“Stai fermo”,

“Cerca di stare attento”,

“Non disturbare i tuoi compagni”,

“E’ un bambino troppo vivace”…

Questi sono soltanto alcuni dei modi con cui gli insegnanti cercano o almeno tentano di gestire il comportamento di quei bambini che in classe sono incontrollabili.

Modi che poi si traducono in “appunti” rivolti ai genitori per esprimere la loro disapprovazione e delusione circa l’educazione impartita ai loro figli.

Chiunque di noi sicuramente ha già qualcuno in mente: sono i bambini che incontriamo alle feste, sull’autobus, per strada, a scuola, che attirano la nostra attenzione perché non riescono mai a star fermi, che si agitano continuamente… ma soprattutto perché protagonisti di scene alquanto esilaranti (se viste dal di fuori) con i minori davanti che scappano e genitori ed insegnanti dietro che li inseguono. 🙂

Situazioni che si sommano a quelle che avvengono in casa e che a lungo andare minano anche la tranquillità del genitore più sicuro di sé, mettendo in dubbio il loro ruolo di educatori.

In realtà nessuno ha colpa… né questi bambini, né tantomeno i loro genitori, si tratta di ADHD.

 

Cos’è L’ADHD

In alcuni casi non si tratta di semplice vivacità, maleducazione o di uno stato normale di eccitazione ma di un vero e proprio disturbo che impedisce a chi ne è affetto di selezionare gli stimoli ambientali, di pianificare le proprie azioni e di controllare i propri impulsi.

Si tratta dell’ADHD – Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, un disturbo neuro-comportamentale che si manifesta nella prima infanzia e che si caratterizza per una regolazione deficitaria in tre aree:

• Attenzione

• Inibizione della risposta

• Livello di attività motoria

 

L’ADHD non è affatto un problema raro, anzi è uno dei principali e più comuni problemi della condotta che caratterizza la dimensione infantile moderna.

I soggetti colpiti da questa patologia sono numerosissimi in tutto il mondo: il disturbo in età scolastica mostra una prevalenza intorno al 4% ed è maggiormente rappresentato nei maschi, forse perché sono geneticamente più soggetti alle malattie del sistema nervoso.

I sintomi distintivi di questa patologia sono:

  • un’evidente difficoltà a rimanere attenti o a lavorare su uno stesso compito per periodi di tempo sufficientemente prolungato;
  • disorientamento in classe;
  • passaggio veloce da un’attività all’altra senza averne completata alcuna;
  • sguardi rivolti altrove durante le attività, soprattutto nei momenti in cui tali attività risultano noiose e ripetitive.
  • modalità di gioco rumorose;
  • tendenza a parlare eccessivamente con scarso controllo dell’intensità della voce;
  • tendenza ad interrompere persone che conversano o che stanno svolgendo delle attività, senza essere in grado di aspettare il momento opportuno per intervenire.

 

L’origine del disturbo viene ricondotta principalmente a cause genetiche e l’ambiente non ha importanza decisiva nella genesi di questa sindrome ma può causare l’insorgenza di disturbi comportamentali secondari su base psico-emotiva che riguardano scarsa conformità o aggressività nel comportamento, conflitti all’interno della famiglia e relazioni problematiche con i pari, insuccesso scolastico e nelle performance nei vari ambiti di vita del bambino.

 

papilot.pl

 Che conseguenze sociali comporta?

Purtroppo, oltre a causare problematiche agli adulti che si prendono cura di questi bambini, a livello intrapsichico, questo disturbo ed il ripetersi dei sintomi fanno sì che il minore progressivamente acquisisca informazioni su di sé negative.

Un’altra grave conseguenza è l’emarginazione e l’isolamento sociale, che si riflettono inevitabilmente sia sul bambino che sulle famiglie, causando sentimenti di depressione e sensi di colpa e riducendo in modo significativo le loro relazioni sociali.

Una forma di isolamento sociale che ha poi un impatto negativo sull’esercizio delle funzioni genitoriali oltre che sul benessere emotivo e psicologico dei genitori stessi.

 

Quale terapia?

Oggi c’è molta consapevolezza: l’ADHD è riconosciuto come un vero e proprio disturbo psicologico, anche gli insegnanti richiedono interventi sperimentali per migliorare la loro capacità di gestione dei moltissimi casi presenti nelle scuole e le famiglie si rivolgono alle tante associazioni fondate proprio da genitori con figli ADHD a cui chiedono aiuto e sostegno, non soltanto sul piano morale o psicologico ma anche su quello informativo.

La migliore terapia che si possa adottare è quella della non rassegnazione.

I genitori non devono affrontare la malattia come un problema che non sono in grado di risolvere o come una condanna che sono stati immeritatamente chiamati a scontare. L’ADHD è una sfida che mette alla prova la loro forza, il loro coraggio ma soprattutto il loro amore per il figlio.

La rete sociale che circonda la famiglia (specialisti, insegnanti, educatori…) deve incoraggiare le famiglie di questi bambini a non arrendersi ed a credere e sperare sempre che ogni piccolo miglioramento rappresenti una grande conquista per il bambino, sia sul piano psicologico che su quello sociale.

Se vi sembra di riconoscere alcuni dei sintomi esposti in vostro figlio o un bambino a voi vicino, contattate subito uno psicologo specializzato per confermare o meno questo sospetto.

Se la malattia viene diagnosticata in tempo e viene scelta e applicata la terapia giusta, i bambini potranno cambiare radicalmente il loro modo di vivere ed anche chiunque gli viva accanto (genitori, insegnanti, compagni), riuscendo finalmente a vivere una vita “normale”.

 

Grazie alla Dott.ssa Maria Antonietta Mastrangelo per la collaborazione nella stesura.

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